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Il Drago di Santa Brigida

Leggenda

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A pochi metri dalla cima dell’intricata distesa del Filone, sulla montagna dirimpetto a Santa Brigida, si apre ancora oggi un’ampia grotta che si inoltra per diversi metri nella roccia viva. Gli abitanti del paese la chiamano Busa ed affermano che una volta era un rifugio di uno strano animale, ma con l’aggiunta di altre caratteristiche proprie dei pipistrelli. La lunga coda, mobile come uno scudiscio, terminava in una specie di unghia, nera e tagliente, dalla forma del tutto simile alle chele di uno scorpione. La testa, larga e piatta, era sormontata da una lunga cresta fatta di scaglie ossee e da piume di color turchino. L’enorme bocca era munita di una fila di denti lunghi e acuminati; nel mezzo della lingua, rossa e biforcuta, era posto un diamante grosso come una mela, che brillava di una luce sfavillante, così intensa da accecare chiunque avesse avuto la sventura di posarvi lo sguardo anche solo per un attimo. Ogni mattina, alle prime luci dell’alba, quell’essere mostruoso usciva dal suo nascondiglio, emettendo acutissimi sibili e lasciandosi dietro una luce rossastra che illuminava la grande distesa di prati alla base della montagna. Alla vista del mostro, i montanari che vivevano nelle contrade e nelle baite dei dintorni erano presi da paura e sgomento: i bambini correvano in casa e le donne recitavano in fretta alcune preghiere, mentre gli uomini più coraggiosi imbracciavano il vecchio fucile, risoluti a servirsene semmai ce ne fosse stato bisogno, ma dubbiosi circa l’effettiva efficacia di quell’arma contro un tal mostro.

“È arrivato anche quest’anno, puntuale come ogni estate, per rovinarci l’esistenza” esclamavano rassegnati i vecchi contadini.
Il mostro, incurante dei problemi che il suo arrivo aveva scatenato tra la gente della Valle Averara, iniziava la sua caccia famelica planando sopra i boschi della Pugna, presso Cassiglio, e proseguiva verso Ornica, risalendo la Val d’Inferno e puntando poi verso i piani dell’Avaro, i laghi di Ponteranica, le malghe d’Ancogno e della Cà San Marco, per concludere il suo volo sfrenato sopra le verdi distese di abeti delle Torcole e del Torracchio che al suo passaggio rimanevano segnate da una striscia giallastra come se fossero state colpite da una vampa di fuoco.
Catturata la preda, un capriolo, un camoscio o, più spesso, un vitello o un agnello, il drago se lo portava nella tana per divorarselo in pace tra grugniti di soddisfazione alternati allo stridore delle zanne che stritolavano le carcasse dei malcapitati animali.

Per qualche settimana il drago diventava il padrone incontrastato dell’Alta Val Brembana e come in preda a una smania incontrollata di libertà vagava tutto il giorno da una montagna all’altra, era allegro, sembrava felice.
Ma per poco: l’avanzare dell’estate e l’aumento della temperatura creavano al drago un prurito insopportabile che lo portava alla disperazione. In preda a un vero e proprio parossismo, faceva ampie evoluzioni nel cielo, tra lamenti e fischi acuti, agitando le ali e grattandosi freneticamente con gli artigli e provocando il distacco delle squame giallastre. La pioggia dorata precipitava per terra e ricopriva l’erba dei prati e le foglie degli alberi che subito seccavano.
Finita la cura, se ne tornava verso il suo rifugio del Filone.
Così passava l’intera estate, poi finalmente, con i primi freddi dell’autunno, ripiombava in letargo e non si faceva più vedere.
Fino all’anno successivo.

A dire il vero, però, questo animale orribile a vedersi, non era cattivo, infatti si limitava a cacciare gli animali ed anche le persone solo per calmare il suo enorme appetito. Per cercare di porre fine a questo flagello, ma soprattutto nel desiderio di impadronirsi del favoloso diamante, furono diversi i tentativi messi in atto per eliminare il drago.
Qualche animoso cacciatore di Santa Brigida e dei paesi vicini tentò di catturarlo, collocando all’imboccatura della caverna un grosso laccio fatto con una fune di acciaio, di quelle che usavano i boscaioli per trasportare il legname.
La speranza era che il mostro, al suo risveglio dopo un lungo letargo, finisse impigliato nel laccio e non potesse più liberarsi. Vana illusione: la fune veniva puntualmente fatta a pezzi.

Non mancarono i protagonisti di paurose avventure. Brutta storia quella capitata a un certo Bulgher, che abitava nella cascina Pichècc, nelle vicinanze della Pugna, e che aveva addirittura progettato di rubare il grosso diamante del mostro, il quale ogni sera lo toglieva dalla bocca e lo deponeva nella cavità di un faggio secolare che sorgeva presso l’imboccatura della tana.
Il Bulgher si appostò nei paraggi e aspettò con pazienza il drago, il quale prima di ritirarsi nella grotta, si avvicinò all’albero e vi nascose il diamante.

Ma poi accadde l’imprevisto: il drago, forse avvertendo la presenza di un estraneo, invece di andare a dormire, tornò sui suoi passi e si mise ad agitarsi attorno alla grotta, grugnendo e sradicando alberi con l’impeto della sua forza.
Il Bulgher, che aveva preso in mano lo splendido diamante e lo stava ammirando estasiato dalla luce che emetteva, fece appena in tempo a rintanarsi nella cavità del faggio, abbandonando per terra il prezioso bottino.
Per sua fortuna il mostro, ritrovato il diamante, se ne tornò nella grotta, senza notare il malcapitato che rimase nascosto nell’albero per tutta la notte, in preda a un tremore indicibile. Ne uscì solo la mattina seguente, quando il drago se ne era ormai andato, e si accorse, con amaro stupore, che per lo spavento i suoi capelli erano diventati bianchi!
Peggior sorte toccò a un tale di nome Ventura, che si credeva uomo forte e coraggioso e cacciatore infallibile, tanto da progettare di uccidere la bestia con il suo trombone.

Raggiunto il bosco della Pugna, si costruì un ricovero di pietre e vi si nascose in attesa dell’arrivo del mostro. E il mostro arrivò, mentre nella zona imperversava un furioso temporale.
Tra lampi abbaglianti e fragorosi tuoni, il Ventura se lo vide comparire davanti improvvisamente. Colto di sorpresa, cercò di far fuoco contro l’animale, ma l’arma scoppiò tra le mani. Allora il mostro gli si avventò contro con furore inaudito e lo sbranò con pochi bocconi, lasciando per terra solo la testa, che fu in seguito rinvenuta con gli occhi sbarrati e la bocca digrignata e fu seppellita al cimitero di Santa Brigida.

Quella notte anche il mostro sparì e di lui si persero le tracce.
Si racconta però che per molti anni i mandriani che si recavano sui pascoli della Pugna udivano nella notte gli spaventosi sibili della belva e i lamenti strazianti del cacciatore che aveva pagato caro la sua temerarietà.



BERGAMASCO | A póch méter del confüs tracc del Filù, söl mut de fassada a Santa Brigida, se dèrv amò al dé de ‘ncö öna gròta granda  che la procéd per dièrse méter in de la còrna ìa. I abitàncc  del paìs i l’ la ciàma Büsa e i sigüra che öna ólta l’ìa ‘l  refügio d’ü destrane animàl, ma co la zónta de óter conotàcc ch’i è pròpe di sgrignàpole. Öna cua lónga che la se agitàa compàgn d’ü foèl e la fenìa tüso ön’óngia nigra e sfendènta, co la furma di tenaìne di scorpiù. La crapa, larga e piàta, l’ìa sormontada d’öna lónga crèsta fàcia de scàie de òss e de piöme de colùr türchì. La bóca piö che granda l’ìa münìda  d’öna fila de décc  lóngh e göss; in del mès de la lèngua, róssa e dópia, gh’ìa posissiunàt ü diamànt gròss compàgn d’ü póm, che l’isberlüsìa  d’öna lüs che inorbìa, issé féssa de rendì òrb chiunque l’ gh’èss üt la desventüra de dàga öna lömàda ach adóma per ün àmen. [...] Ògne matina, ai prime lüs del dé,  chèl èsser desfurmàt a l’ vegnìa fò del sò refügio, a l’ cassàa fò di sìgoi s-cèp e l’ lassàa indré öna lüs rossina che la ilüminàa la spianada di pracc in prensépe a la montagna. A la ésta del móstro, i montagnér ch’i vivìa in di contrade e ‘n di bàite de chi löch, i bagolàa de pura e de stremésse; i s-cècc i corìa in cà  e i fómne i recitàa de frèssa öna quach orassiù, intàt che i òm piö coragiùs i ciapàa salt ol vècc is-ciòp, próncc a dovràl se ghe n’ födèss istàcc de bisògn, ma döbiùs del reàl efèt de chèl’arma cóntra ü móstro de chèla sórt.

“L’è riàt pò a’ st’an, pontüàl cóme ògne estàt, per rüinàga la éta” i protestàa rassegnàcc i vècc contadì.
Ol móstro, sènsa cüràs di desase che la sò presènsa la  prodüsìa tra i abitàncc de la Val de Averara, a l’ comensàa la sò cassa de famàt col vègn zó in vèrs a tèra sura i bósch de la Pügna, in di vissinanse de Cassiglio, col seità ‘l sò gul in vèrs a Örnìga, pò sö per la Val d’Infèrno e i Pià de l’Avaro, e pò amò in diressiù di laghècc de Ponterànega, i malghe de Ancògn e de Cà San March, per conclüdì ol sò gul isfrenàt de sura di vérde spianade de paghére di Tórcole e del Toràcc che ‘n del sò passà i restàa segnade de öna sfrèzza zaldòta cóme s’ì födèss istace tröcade de öna vampada de föch.
Öna ólta brocada la préda, ü cavriöl, ü camóss o, piö de spèss ü vedèl o ün agnèl, ol drago se la portàa in de la sò tana per sbocunàla in pas tra rognade de sodisfassiù alternàcc al combòi di gròss denciù ch’i sfrantömàa ‘l carcòss de chi  pòer animài.


Per öna quach setimane ol drago l’ deentàa ‘l padrù espòtech de l’Ólta àl Brembana e cóme ciapàt d’öna smània sènsa contròl de libertà, l’indàa atùren töt ol dé d’öna montagna a l’ótra, l’ìa alégher, a l’ parìa felice.
Ma chèsto per póch: ol fàs inante de l’estàt e ol crèss de la calüra i creàa in del drago ü spiörésen insoportàbel ch’i la portàa a la disperassiù. In piéno restàgn per chèsto fastöde l’ismaniàa e l’ fàa di gran gùi in del cél, tra lamèncc e sìgoi  acücc e co l’isgigotà i ale e gratàs frenètech coi sgrafe, tat de caüsà ol destecàs di squame zaldòte. La piöìda dorada la egnìa zó ‘n tèra e la quarciàa l’èrba di pracc e i fòe di piante che ‘n d’ün àmen i secàa.
Fenida la cüra, a l’ turnàa in vèrs al sò refügio del Filù.
Issé l’ passàa töta quata l’estàt, pò finalmènt, coi prim frècc de l’ötörno, a l’ piombàa in chèl sògn profónd che l’ düràa per töt l’invèrno e l’ se fàa piö edì.
Chèsto fina a l’an seguènt.


A ölì dì la erità, però, chèsto animàl spaentùs a èdel, l’ìa mia catìv, defate a l’ se limitàa a ‘ndà a cassa de animài, ma ach i persune, ma adóma per quetà la sò fam desmesüràda.
Per sircà de pónd fì a chèsto flagèl, ma suertöt per ol desidére de ‘mpadronìs de chèl diamànt faolùs, i è mia stacc póch i tentatìv metìcc in ato per eliminà ‘l drago.
Öna quach cassadùr ardìcc de Santa Brigida e di paìs intùren, i à tentàt de brocàl, col piassà a l’entrada de la caèrna ü lass facc sö con d’ün andeghér de assàl, de chèi ch’i dovràa i boscaröi per trasportà ol legnàm.
La speransa l’éra chèla che ‘l móstro, al sò desdàs dòpo la durmida invernàl, a l’ restèss impïàt in del lass sènsa riàga piö a liberàs. Ilüsiù inötel: la córda la egnìa pontüalmènt fàcia sö a tochèi. I è mia mancàcc i personagi de puruse aentüre.
Öna bröta stòria la gh’è capitada a ü sèrto Bülgher, che l’istàa de cà in de cassina di Pichècc, visì a la Pügna, e che l’ìa adiritura progetàt de robà ol gròss diamànt del móstro, ol qual töte i sire a l’ la töìa fò de la bóca e l’ la pondìa in del incào d’ü fó secolàr che l’ìa pientàt visì a l’imbocadüra de la sò tana.


Ol Bülgher al se sìa apostàt in di vissinanse a spetà, armàt de passiènsa, ol drago, ol qual prima de ‘nfilàs in de tana, a l’ s’è redesàt apröf a la pianta per iscónd ol diamànt.
Ma pò gh’è söcedìt l’impreést: ol drago, fòrse co l’aertì la presènsa d’ü forestér, invéce de ‘ndà a dormì, l’è turnàt söi sò pass col comensà a agitàs intùren a la caèrna e col dàga dét a rognà e a strepà coi raìs i piante co l’ardènsa de la sò fórsa.
Ol Bülgher, che l’ìa ciapàt in di mà ol pressiùs diamànt e l’ìa dré a remiràl estasiàt de la lüs che l’ rilassàa, l’à facc apéna ‘n tép a ‘ntanàs in del incào del fó, dòpo de ì abandunàt per tèra ol pressiùs botì.
Per sò förtüna ‘l móstro, ritroàt ol diamànt, a l’è turnàt in de caèrna, sènsa notà ol malcapitàt che l’è restàt iscondìt per töta la nòcc in de l’incào del fó, brancàt d’ü tremùr de mia dì.
L’è egnìt de föra adóma la matina seguènta, quando ‘l drago l’éra urmài indàcc, e l’ s’è rincorsìt con amàr istöpùr, che per ol grand istremésse i sò caèi i éra deentàcc biànch!


Öna sórt pegiùr la gh’è tocada a ü tal de nòm Ventüra, che l’ se credìa ün òm fórt e coragiùs e ü cassadùr infalìbel, tat de ìga ‘n mènt de copà chèla bèstia col sò trombù.
Riàt in del bósch de la Pügna, l’à facc sö ü ricòer de préde e l’ s’è scondìt per ispetà ol rià del móstro. E difati ol móstro l’è riàt, intàt che ‘n de la zòna l’ se descadenàa ü temporàl füriùs.
Tra sömelèch ch’i inorbìa e fórte trunade, ol Ventüra se l’è ést a comparì denante a l’improìsa. Ciapàt issé de sorprésa, l’à sircàt de fà föch cóntra l’animàl, ma l’arma la gh’è s-ciopada in di mà. Alura ‘l móstro a l’ gh’è saltàt adòss  con d’öna föria inaüdìda e l’ l’à sbranàt con póch bocù, col lassà ‘n tèra adóma ol có, che l’è stacc ritroàt coi öcc ispalancàcc e la bóca che la sfranzìa i ganasse de ràbia, e sto có l’è pò stacc sotràt in del capsànt de Santa Brìgida.


Chèla nòcc ach ol móstro l’è sparìt e de lü gh’è restàt piö nissöna ‘nsègna.

A s’ cönta sö però che per tace agn i bergamì ch’i se portàa söi pàscoi de la Pügna, de nòcc i sentìa i sìgoi spaentùs de la bèlva  e i lamèncc de soferènsa del cassadùr che l’ìa pagàt car ol sò ardimènt.  




ENG | A few meters from the top of Mount Filone on the mountain in front of Santa Brigida, even to this day there is a deep cave that locals call "Busa". They also tell that once it was inhabited by a monster all covered in yellowish scales with two huge bat wings, four sturdy legs with mighty claws and a long swinging tail ending in a sharp nail.
In the middle of its red, forked tongue there was a huge diamond, which the monster guarded with special care. Every summer, after awakening from a long hibernation, the monster scared men, animals and even the woods turned yellow and suffered from its disturbing presence. The awakening of the dragon was announced by the gloomy sound of the bell from the church of Santa Brigida.

Every morning the monster came out of the cave to hunt, making high-pitched hisses and leaving behind a reddish light that made people anxious. Roe deers and chamois were usually victims of its feral hunger, but more often sheeps or cows were devoured, causing serious damage to the shepherds. Summer was coming and the heat increased the thirst of the monster, who drained at once the ponds used to water the flocks and the streams of the area. In autumn, the monster went back into hibernation but every time he woke up it spread terror and distress in the valley. To end this scourge, but mainly to seize the diamond, many brave citizens of the Brembana Valley tried to hunt it. However, the hunters failed every time: some of them tried to catch it with a steel rope, others tried to steal the diamond from the hideout where the monster hid it every night.

 The worst fate befell a hunter who tried to shoot the monster with his rifle during a raging thunderstorm but was overwhelmed by the beast; it devoured him leaving only his head, which was found the next day and buried in the cemetery of the village. From that moment on, the monster was never seen again and there was no longer any sign of him. It is said, however, that since then the shepherds who walked through the pastures of Pugna heard the hisses of the beast and the heartbreaking screams of the hunter. Even the blessing of the parish priest could not stop those sounds: to this day, at night, you can hear the echoes coming from a distant world.